sabato 6 novembre 2010



Max Beckmann occupa una posizione particolare nella storia dell’arte del XX secolo. Come Otto Dix e George Grosz, scoperse se stesso nel caos della guerra. Le stragi del fronte agirono su di lui come spinta a un’arte drammatica, ammonitrice. Il suo verismo non ebbe mai la scarna e fredda esposizione di un Dix, ma l’ur

tante vociferazione di un profeta. Egli non sa trovare le cause del male, egli del male prova solo l’angoscia e lo sgomento. La sua arte suona a stormo sull’uomo disumanato. I suoi quadri sono ingombri di figure gesticolanti. Egli è un vero espressionista e nelle sue tele il risultato non è una foga visionaria ma esclude la soluzione nell’astrattismo.

Si potrebbe considerare l’opposto di Kandinsky, poiché secondo lui l’invisibile si manifesta solo attraverso il mondo oggettivo. Per questo i suoi quadri sono così imponenti. Ci dà una rappresentazione della realtà sguaiata, urlante ma sempre since

ra e contro il fato, che lui sostiene avere il potere sull’u

omo, depone tutte le sue fiducie sull’uomo stesso. Beckmann rifiuta le effusioni del cuore, tanto più il tema è patetico tanto più diventa severo e sprezzante.

“da una spensierata imitazione del visibile, da una degenerazione debolmente artistica, da un tumefatto misticismo falso e sentimentale, speriamo di giungere ora all’oggettivismo trascendente, quale può scaturire da un amore profondo per la natura e per gli uomini”.

Un quadro come la notte, 1919, che ha per tema una strage perpetrata in una casa da una banda di malviventi, resta tra i suoi esempi più tipici di questo periodo. L’ansia metafisica che è

in Beckmann non diventa per lui un veicolo di fuga e ciò conferisce alla sua problematica una forza vera. Questo è il Beckmann più resistente, più vitale, superiore a quello che verrà poi con immagini più strutturalmente decorative. Egli ritroverà l’energia di un tempo solo ogni volta si troverà a scontrarsi con l’asprezza della vita.

Nel 1906 furono realizzate laGrande scena di morte e la Piccola sc

ena di morte, tentativi di elaborare l’esperienza della morte dell’amata madre e di vincerne il dolore. La luminosa pennellata impressionistica lascia il posto ad un tratto solido, racchiuso in forme compatte. Il cromatismo si riduce alle tonalità scure ed opache del marrone e dell’ocra. In tal modo spicca il bianco del letto, collocato parallelamente al motivo. Nella Grande scena di morte, di forma quasi quadrata,

il letto del moribondo viene posto al centro dell’immagine. Il corpo, debole ed emancipato, la bocca aperta, gli occhi socchiusi, lotta senza più forza contro la morte. Attorno a lui Beckmann ha raccolto tre persone che hanno differenti modi

di reagire; per questo si avvicina più a Munch ( camera mortuaria, 1893) e non all’espressionismo della Brucke o della Blaue Reiter. Dopo il suo matrimonio con Minna Tube, di cui era profondamente innamorato e a cui dedicò numerose sue opere, prese il filone di un Gericault e Delacroix, realizzando opere di tema religioso e mitologico. Volle ridar vita ad un genere storico-artistico che non era più di moda. Cercò di definire una moderna metafora della realtà e della situazione dell’uomo contemporaneo. Partecipò attivamente alla guerra, dalla quale sperava di poter trarre immagini essenziali per la sua arte, visto lo scarso apprezzamento delle sue due precedenti opere, scene del declino di Messina e Il naufragio del Titanic, in cui egli sostiene non abbia reso molto per mancanza di partecipazione personale alle scene.

Dopo un forte crollo psicologico di trasferì a Francoforte sul Meno e qui vi dipinse l’Autoritratto con sciarpa rossa, 1917, ritraendosi nell’atelier, davanti al cavalletto, con lo sguardo fisso verso un punto, gli occhi spalancati e la bocca deformata. La sua testa scarna non ha nulla in comune con un normale cranio e sul volto rispecchia gli orrori visti durante la guerra. La croce formata dalla finestra non dà la possibilità di guardare oltre, di andare avanti con lo sguardo. In seguito Beckmann concentra l’attenzione su di lui, sull’individuo, sulla sua impotenza, non lasciandosi mai strumentalizzare politicamente. Dal punto di vista estetico-formale, Beckamnn opera importanti modifiche: riduce il suo cromatismo, fluidifica la pennellata, utilizza marroni opachi, grigi e gialli che dominano la superficie e qualche accento di colore è dato da pochi colori scintillanti. I volti e i corpi appaiono pallidi e malaticci, allungati e spigolosi, con membra distorte. Il tratto rude della puntasecca gli ha permesso di rendere a pieno questi volti sfigurati dal dolore, sempre più simili ai volti gotici che a quelli precedentemente sviluppati da Beckmann di genere barocco.

La notte, 1918, è stata contrassegnata da una precisa fase temporale durante la quale ha svolto l’opera; questo è di fondamentale importanza per Beckmann in quanto vuole che il futuro osservatore di quella tela conosca l’ambito storico-temporale, in cui è stata realizzata. La violenza della strada penetra nelle case, tre sgherri sono penetrati in una piccola stanza sotto il tetto e terrorizzano una famiglia pacifica ad indifesa. Strangolano l’uomo e gli spezzano un braccio, spogliano, legano e violentano la ragazza. Gli assi del pavimento, il tavolo, le travi del tetto e i corpi riempiono la tela e mostrano un complicato intreccio di linee. La prospettiva è stravolta. La composizione presenta “linee e superfici acute e taglienti come un cristallo” attraverso una luce pallida ed irreale. Fino ad ora non si è riusciti a decifrare la vera identità del quadro, l’identità della donna sulla destra così come uno dei tre sgherri sembra essere più un borghese.

Beckmann dà un importante valore a questa tela “dare all’uomo un’immagine del suo destino”.

Vd La sinagoga, 1919, Martedi grasso a Parigi, 1930, Il sogno, 1921.








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